Animali da trasferta

Ultimamente faccio qualche trasferta di lavoro in più. Solita trafila: macchina, aeroporto, check-in, controlli di sicurezza, aereo, aeroporto, taxi, ufficio, lavori, saluti, taxi, albergo, cena. In tutti questi passaggi, riconosci subito quelli che sono abituati a viaggiare per lavoro, quelli che io chiamo "animali da trasferta".

Il primo avvistamento avviene in aeroporto. Si muovono decisi, sanno sempre dove andare e cosa fare. Quando sono in gruppo, anche peggio: si muovono baldanzosi come un branco affamato. Ovviamente sono membri di svariati programmi fedeltà così da avere più privilegi possibili (tipo check-in dedicato, imbarco dedicato, ecc.). Sbuffano ai controlli quando un poveraccio che vola una volta l'anno blocca tutti perché il metal detector continua a suonare.

Li riconosci da tante cose. Da come sono vestiti, per esempio: rigorosamente in completo scuro gli uomini, tailleur d'ordinanza per le donne (insieme a tacchi vertiginosi, pazienza se sono scomodi e dovranno portarli tutta la giornata). Dal portatile (o l'iPad per i più trendy), che ovviamente viene acceso per ingannare l'attesa, o per mandare quella mail urgentissima senza la quale il mondo si fermerebbe (tranquilli, ho scoperto che il mondo continua a girare lo stesso). Dallo smartphone che continua a squillare, con il quale vengono discusse ad alta voce strategie di business e impartiti ordini arroganti a segretarie incolpevoli, e che rimane incollato all'orecchio fino all'ultimo, fin quando l'aereo sta per decollare. Dopo, mi spiace, dovranno spegnerlo, e tagliare per un po' questo cordone ombelicale che li collega al mondo, e senza il quale non esistono.

Appena atterrati, sgusciano via di corsa verso la zona taxi. Ma non è un addio, è solo un arrivederci. Infatti la sera, se si è in qualche posto logisticamente un po' sfigato, ci si ritrova tutti allegramente al ristorante dell'hotel. Una fila di tavoli, molti occupati da una sola persona, quasi tutti uomini, a mangiare tristemente da soli, cercando di riempire i vuoti e la solitudine con l'onnipresente cellulare o una rivista. Arrivi e tutti ti guardano, con quello sguardo misto tra compassione e solidarietà, come dire "anche tu qui?". Il cameriere ti viene incontro e ti chiede "da solo?" e tu rispondi con un sì e la faccia da cane bastonato. Un giorno incontrerò una donna bellissima in ascensore e, dimenticando per un attimo la mia timidezza e con un po' di incoscienza, le dirò "Ciao, se sei sola, ti va se ceniamo insieme?". Inutile dire che finora non è mai successo.

Fino all'ultimo giorno, quando rifarai tutta la trafila al contrario e sarai felice di tornare a casa. Sempre che a casa ci sia qualcuno ad aspettarti.

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Questo post è liberamente ispirato dalle mie trasferte e dal film "Tra le nuvole" con George Clooney.

2 commenti:

  1. L'importante è trovare la fila degli asiatici, pragmatici e ossessionati dai mocassini.....

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  2. Beh, se ti capita di andare a Firenze, vai a cenare da "il Latini", dove ti mettono a tavola insieme a dei perfetti sconosciuti: ottimo cibo e vino oliano la conversazione che e' un piacere! Qualche volta ti capita anche la studentessa straniera in vacanza :)

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