Gibilterra


Altro post sugli aeroporti strani (e non sono ancora finiti, ne mancano un paio): l'aeroporto di Gibilterra.

Gibilterra è una piccola enclave britannica situata sull'omonimo stretto. Come tutti i posti dove lo spazio è poco (la superficie totale è di meno di 7 kmq) per costruire un aeroporto si sono dovuti ingegnare. Qual'è la particolarità qui? Semplice, la strada principale taglia in due la pista, e viene chiusa con delle sbarre (tipo passaggio a livello) quando gli aerei decollano o atterrano!

Al solito un paio di video rendono meglio l'idea:



Toccherà andare a farsi un giro pure qui...

Oh mamma mamma mamma

Milano, 15 marzo 2011. Conferenza con Bruce Schneier. Sala affollatissima. Lo leggo da anni, e lo considero un genio. Finalmente lo vedo anche.

Relatore: "Bene, lasciamo ora la parola a Bruce Schneier. Se qualcuno volesse fare delle foto, le può fare liberamente, non c'è nessun divieto. E a fine conferenza, se qualcuno vuole farsi firmare una copia di uno dei suoi libri, può venire qui e Bruce la firmerà volentieri."

Io (girandomi verso i miei soci): "Nooo, cazzo, il libro!"

La mia copia di Practical Cryptography è rimasta a casa. I miei soci ridono.

Concorde

Ultimamente ho il trip degli aeroporti "strani" (e i post sull'argomento non sono ancora finiti), ma questa volta vi parlo invece di un miracolo della tecnica: il Concorde.

Il Concorde è stato uno dei due aerei di linea per trasporto passeggeri supersonici (l'altro era il suo clone russo Tupolev Tu-144). Se pensate che il progetto risale alla fine degli anni 60 la sua realizzazione ha del miracoloso. Velocità di crociera superiore a Mach 2, ali a delta, muso inclinabile, motori carenati erano solo alcune delle sue caratteristiche uniche.

Le ali a delta favorivano il volo a velocità supersoniche, ma imponevano un angolo molto elevato durante l'atterraggio (a causa del modo in cui ali di tale forma sviluppano la portanza). Da qui la scelta del muso abbassabile, che serviva a far sì che i piloti vedessero meglio la pista. I 4 motori erano carenati sotto le ali e non semplicemente "appesi"; inoltre, erano dotati di postbruciatori come i jet militari.

Impiegato solo dall'Air France e dalla British Airways, era in grado di coprire la rotta Parigi/Londra - New York in circa 3 ore e mezza. Volava mediamente a quote molto alte, fino a 17000 metri, dove l'aria è molto rarefatta ed è già possibile vedere la curvatura della Terra. Inoltre, nei viaggi verso ovest la sua velocità superava quella della rotazione terrestre, per cui l'ora locale di destinazione era antecedente all'ora locale di partenza. Era cioè possibile partire di sera e arrivare di pomeriggio. La British Airways aveva sfruttato questa particolarità per fare pubblicità al Concorde con lo slogan "Arrivare prima di partire". Alcuni paesi comunque vietarono al Concorde di sorvolare il loro territorio, o di farlo a velocità supersonica, per via dei boom sonici prodotti durante il volo.


Il biglietto era ovviamente molto caro; l'esperienza a bordo comunque non era delle più confortevoli, dato che la cabina era molto stretta e bassa (un metro e ottanta soltanto). Inoltre non vi era nessun tipo di intrattenimento (film e videogiochi), il tutto compensato dal viaggio decisamente più breve.

Entrò in servizio nel 1976, e ci rimase fino al 2003. Purtroppo quasi tutti lo ricordano per via dell'incidente del luglio 2000, che fu l'unico vero incidente di tutta la vita operativa del Concorde. Riporto la descrizione dell'incidente direttamente da Wikipedia:

"In base alle indagini ufficiali condotte dall'accident investigation bureau (BEA) francese, l'incidente fu provocato da una striscia metallica in titanio, appartenente ad un inversore di spinta. Questo pezzo di metallo cadde da un DC-10 della Continental Airlines che era decollato circa quattro minuti prima, e forò una gomma nella parte sinistra del carrello principale. La gomma esplose e un suo frammento colpì il serbatoio del carburante, rompendo un cavo elettrico. L'impatto provocò un'onda d'urto che fece saltare il tappo del serbatoio dell'ala sinistra. Di conseguenza si verificò una perdita di carburante, che si incendiò quando entrò in contatto con i cavi elettrici tagliati. I piloti spensero il propulsore numero 2 a seguito di un allarme incendio ma non riuscirono a ritrarre il carrello d'atterraggio, compromettendo il decollo; decollo resosi ormai inevitabile, dato che l'incedio fu notato, dalla torre di controllo, quando mancavano circa 2000 metri alla fine della pista, mentre per fermare il Concorde, sono indispensabili non meno di 3000 metri. Con il propulsore numero 1 sovraccarico e in grado di fornire poca potenza, l'aereo non riuscì a salire di quota e raggiungere una velocità sufficiente. Il Concorde iniziò una violenta discesa, virando a sinistra. Infine si schiantò contro l'edificio dell'Hotel Hotelissimo".

Morirono tutti i 100 passeggeri, 9 membri dell'equipaggio e 4 persone a terra. Sempre su Wikipedia c'è una pagina specifica, e quello che mi ha veramente impressionato è stato leggere le trascrizioni delle comunicazioni tra i piloti e la torre di controllo. Mettono i brividi, se pensate che sono gli ultimi istanti di vita (dal decollo allo schianto passano solo un minuto e 10 secondi) di 113 persone.

C'è un video dell'incidente, diventato ormai tristemente famoso, che mostra il Concorde decollare in fiamme:


Quello che molti non sanno è che, dopo la sospensione dei voli a causa dell'incidente, vennero apportate delle modifiche in modo da aumentare la sicurezza dell'aereo, e il Concorde tornò in servizio nel 2001 (tra l'altro il primo volo fu proprio l'11 settembre, coincidenza sfortunata). Nel 2003 tuttavia, a seguito del calo dei voli a causa proprio dell'incidente e della paura di volare conseguente all'11 settembre, sia l'Air France che la BA decisero di porre fine all'utilizzo del Concorde.

Andava così in pensione uno degli aerei più belli e più tecnologici mai costruiti. Oggi un nuovo Concorde non è neanche lontanamente all'orizzonte. Ed è proprio di pochi giorni fa uno degli ultimi voli dello Shuttle, anche in questo caso senza che ci sia una nuova navetta pronta a sostituirlo. C'è bisogno di un nuovo rinascimento tecnologico?

Per concludere vi segnalo un sito creato da un appassionato, davvero fatto benissimo e dove potrete trovare tantissime informazioni dettagliate: http://www.concordesst.com/.

Il mio terremoto

Continuo a riguardare, come in un loop infinito, le immagini che arrivano in questi giorni dal Giappone. Le vedo, e le rivedo, e penso a quell'agosto del 2009 in cui ero a Tokyo e ho sentito il primo vero terremoto della mia vita. E penso anche al quadro di Hokusai, la grande onda di Kanagawa, che mi aveva fatto compagnia per tutto il viaggio, stampato sulla copertina del Japan Rail Pass, e che oggi mi appare tristemente bellissimo.

Ne avevo già parlato, a suo tempo, in questo post, usando un tono scherzoso, dato che alla fine non era successo niente. Però un leggero senso di angoscia mi era rimasto, per mesi, quando ripensavo a quei momenti.

Era notte, la prima notte a Tokyo. Mi sono svegliato, e c'era qualcosa che non mi quadrava. Mi sembrava che il letto si muovesse, ma ero in quel limbo tra sonno e veglia in cui non sai mai se stai sognando o no. Non stavo sognando, il letto si muoveva davvero, avanti e indietro, e non di poco. Ho aperto gli occhi: anche il lampadario si muoveva, e tutta la stanza cigolava, di un cigolio sinistro. Quando ho capito che era un terremoto, sono rimasto come paralizzato. Non sono riuscito a fare o pensare nulla. Non ho pensato di andare sotto la scrivania, né di provare a uscire. Ti prende una sensazione di terrore, di angoscia, di impotenza, che non puoi spiegare, e non puoi capire se non la provi. E quei secondi ti sembrano infiniti, ti sembra che non passino mai. Non so neanche dire quanto sia durato, e ad essere onesto non ho avuto neanche troppa paura, nello stato semionirico in cui ero.

Ho acceso la luce, ho guardato la stanza ed era tutto a posto, poi sono andato alla finestra e ho guardato fuori. Tutto sembrava tranquillo, non c'era nessuno per strada. Mi sono chiesto cosa fare a quel punto, e non ho saputo rispondermi. Sono tornato a dormire.

La mattina ho scoperto che era stato un terremoto di magnitudo 6 punto qualcosa (a seconda delle fonti e del tipo di scala usata). Può sembrare poca cosa di fronte al 9.0 di questi giorni, ma è stato più o meno dello stesso livello di quello dell'Aquila. Non posso fare a meno di pensare cosa deve essere stato questo, fortissimo, lunghissimo, terrificante. Ma come dicevo prima, non si può capire senza averlo provato.

Da un po' leggo il blog di un ragazzo spagnolo che vive in Giappone. Ha scritto un post sulla sua esperienza di questa scossa devastante. Finora è la descrizione migliore che abbia letto, di quella sensazione che non si può spiegare. Per il resto, non ci sono parole, ma solo un'infinita tristezza, e tante immagini che mi resteranno impresse. Tra le tante, vi consiglio quelle di The Atlantic (1, 2, 3) e di The Big Picture.

Ho donato qualche euro; lo si può fare attraverso il sito della Croce Rossa italiana oppure tramite Google direttamente a quella giapponese, oppure con un SMS al 45500.

Forza Giappone, il Sol Levante si risolleverà!

Persone

Rieccomi con qualche foto nuova (e molte vecchie) dato che la pubblicazione delle stesse latitava da un po'. Questa volta il soggetto sono le persone, croce e delizia di ogni fotografo. E' difficile infatti fare belle foto alle persone, soprattutto se vuoi coglierle in momenti spontanei; se infatti si accorgono che le stai fotografando, si mettono chi più chi meno in posa per te e la foto viene in qualche modo alterata. A me piacciono molto di più le foto spontanee, a meno che si stiano facendo dei ritratti specifici.

Eccomi dunque con un album "virtuale" che raccoglie varie foto, alcune già pubblicate nei rispettivi album sotto "Luoghi" (dovevo pur decidere un metodo di classificazione), altre invece nuove nel senso che non hanno un album dedicato per cui le pubblico ora per la prima volta. Ce ne sono diverse fatte in Giappone, ero indeciso se pubblicarle o no dato che sono tante (forse troppe), ma alla fine ho deciso di includerle perché mi piacciono molto. Questo album comunque non sarà statico ma si arricchirà nel tempo di nuovi scatti.

L'album è qui: http://donnifoto.zenfolio.com/persone

Come al solito potete vedere lo slideshow qui sotto:

Saint Maarten

Continuiamo la serie di post "aerei" parlando di un altro luogo molto famoso tra i plane spotters: Saint Maarten.

Saint Maarten è una piccola isola delle Antille olandesi, situata più o meno tra le Isole Vergini e Antigua. E' molto frequentata dai turisti e dotata di un piccolo aeroporto, dove però (proprio a causa dell'elevato numero di visitatori) atterrano aerei abbastanza "grossi".

La pista è a pochi metri dal mare, e questa non è una situazione inusuale: anche a Lanzarote e Skiathos è così, ma in questo caso la particolarità sta nel fatto che la spiaggia di Maho Beach è frequentata normalmente dai bagnanti, e tra la spiaggia e la pista passa anche una strada che rimane aperta anche durante decolli e atterraggi. L'atterraggio non è difficile come quello di Hong Kong (l'avvicinamento è diretto e lineare dal mare) ma la pista è molto corta (2180m) e questo costringe i piloti a toccare terra il più vicino possibile all'inizio della pista stessa. Questa combinazione di fattori fa sì che gli aerei passino bassissimi sopra la spiaggia piena di gente. Durante i decolli invece, il getto dei motori arriva fino alla battigia spingendo gli oggetti in acqua.

Al solito un paio di video valgono più di mille parole. Questo è un tipico atterraggio (notare anche l'auto che sta passando proprio in quel momento):


Altro atterraggio, questo forse anche un pelo più basso (e c'è anche un sacco di gente):


Vogliamo andare un po' più sotto?


Questo è invece l'effetto della spinta dei motori al decollo:


Infine, un video con una serie di foto da cui si colgono altri particolari:


Prossima vacanza, tutti a Saint Maarten!

Qualcosa è cambiato

Qualche tempo fa sono andato a vedere "The social network", il film che racconta la storia di Mark Zuckerberg e della nascita di Facebook. Avevo letto solo recensioni con lodi sperticate, ed ero curioso. E' un bel film, gradevole e ben fatto, anche se a parer mio non è nulla di eccezionale. Nello stesso periodo, ho risentito un cliente con cui non lavoravo da molto tempo, e che io prendevo bonariamente in giro sostenendo che è il sosia di John Gilmore.

Ma chi è John Gilmore, e cosa ha a che fare con il film su Facebook? Nulla, ma mi è venuto naturale accostare le due cose per il motivo che adesso vi spiego.

John Gilmore è uno dei personaggi mitici del mondo IT anni 90 e dei primissimi anni del boom di Internet. Solo per ricordare alcune delle sue attività, è stato uno dei fondatori della Electronic Frontier Foundation, della mailing list Cypherpunks, un grande sostenitore del progetto GNU e dell'uso della cifratura, e colui che ha creato la gerarchia alt.* di Usenet. E' stato uno dei primi 5 dipendenti di Sun Microsystems e il coautore del protocollo BOOTP che sarebbe poi diventato il DHCP che tutti noi oggi usiamo.

Il suo sito Toad.com è uno dei 100 domini più vecchi ancora attivi, e ancora oggi ha quel look dei primordi del web, HTML puro e niente orpelli, che vi farà tornare in mente le prime navigate con Mosaic e un modem da 28.8 pagato 300mila lire. Insomma, un personaggio di un certo spessore, un cazzutissimo tecnofreak nonché attivista per le libertà (digitali e non) come ormai ne restano pochi.

Ora, confrontate la foto di Gilmore con quella di Zuckerberg:


Anche tenendo conto della differenza d'età, che dite, i tempi sono cambiati? Gli hacker di ieri erano di un altro calibro. Oggi abbiamo dei ragazzini brufolosi che si inventano siti che solo pochi anni fa non erano neanche concepibili (ok, lo so, Zuckerberg non ha i brufoli ma lo volevo scrivere lo stesso). Tutto cambia e tutto evolve. Come dice qualcuno, purtroppo anche gli anni 60 e il rock anni 70 non ci sono più. Però ce li ricordiamo ancora. E ci ricordiamo ancora di Gilmore, Stallman e Wozniak. Qualcuno si ricorda per esempio di Shawn Fanning? Se probabilmente non sapete chi sia, è il creatore di Napster. Napster è stato fondamentale nel creare un nuovo paradigma, ma il suo fondatore oggi non lo ricorda quasi nessuno. Fra 10 anni ci ricorderemo di Zuckerberg?

Il regalo?

Concludiamo il trittico di post natalizi parlando dei regali, croce e delizia di ogni Natale (e non solo). Non sono uno di quelli che fa regali a venti persone, anzi, forse (colpevolmente) ne ho sempre fatti troppo pochi. Negli ultimi anni ho riscoperto in parte questo piacere, però devono essere regali sentiti, che facciano piacere a chi li riceve ma anche a chi li fa.

Il regalo fatto per obbligo sociale è un incubo. Specialmente se di quella persona ti frega poco o se proprio non sai cosa regalargli. Cominci a pensare agli oggetti più improbabili o banali, per poi scartarli uno a uno mentre la data fatidica si avvicina inesorabile. Alla fine prendi qualcosa di inutile e ti autoassolvi pensando che tanto conta il pensiero.

Il regalo a una persona a cui invece tieni può essere anche peggio. Non vuoi deluderla. In questo caso ho imparato una regola molto semplice (anche se non sempre applicabile): il regalo deve venire da sé. Non devi essere tu a cercarlo, deve essere lui a trovare te. Pensi a quella persona e sai già cosa regalargli. Sai che quella cosa gli piacerebbe tanto, o sai che ne ha bisogno. L'hai sentita dire "mi piacerebbe comprare/fare/andare/vedere" e con nonchalance hai fatto finta di niente. Oppure ti capita per caso di imbatterti in qualcosa e di pensare che piacerebbe proprio a... Ecco, il regalo è venuto da te. Se poi la persona che lo riceve non se lo aspetta, o non c'è nessuna ricorrenza particolare, è ancora più bello. Il regalo perfetto.

Effetto farfalla

Durante queste feste appena finite, si sono raggiunti livelli di traffico mai visti. A partire dal 9 dicembre, subito dopo il ponte dell'Immacolata, e fino al 23 compreso, ho imprecato ogni singolo giorno per andare e tornare dall'ufficio. La tangenziale est di Milano per più giorni è stata congestionata come non mai, alcune sere ben oltre le 21. E lo sapete di chi è la colpa? Delle strade insufficienti? Dell'incremento nella consegna di merci prima di Natale? Del freddo pungente che ha scoraggiato anche i motociclisti più temerari? Del solito incidente (in realtà basta uno che si ferma a cambiare una gomma. Se poi si ferma anche la Polizia, siamo spacciati...)? No. La colpa è mia (e anche di mio fratello).

Avete presente l'effetto farfalla? Cito dalla solita onnipresente Wikipedia: Effetto farfalla è una locuzione che racchiude in sé la nozione maggiormente tecnica di dipendenza sensibile alle condizioni iniziali, presente nella teoria del caos. L'idea è che piccole variazioni nelle condizioni iniziali producano grandi variazioni nel comportamento a lungo termine di un sistema.

Da qui la famosa espressione: "Si dice che il minimo battito d’ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo".

E dove sarebbe la mia colpa? Semplice. Ho ordinato un libro tre CD da Amazon. Che mi sono stati spediti in due pacchi separati, da due posti diversi, con due corrieri differenti che hanno fatto strade diverse. Mio fratello invece ha ordinato tre LP (sì, esistono ancora, e stanno tornando un po' di moda) e sono stati mandati con tre spedizioni diverse.

E poi mi lamento del traffico. Sono stato io. Il mio ordine ha messo in moto una catena di eventi ineluttabili il cui risultato è stato quello di scatenare un bordello mai visto, e farmi perdere ore seduto in una scatola di metallo. Dovrò ricordarmene la prossima volta.

E anche questo Natale...

"Silenzio! Ragazzi! Papà ci vuole dire qualche cosa.

Beh... anche questo Natale... se lo semo levato dalle palle!"

A meno che tu...

"Sono qui solo per bere un rapido drink, per ringraziarti, e poi me ne torno in camera mia.

D'accordo. Recitavi anche nel filmetto che hai fatto?

Se recitavo? Si, recitavo, perché?

Beh, spero che tu fossi più convincente di quanto sei quando fingi di essere qui solo per un rapido drink...

Sono qui per venire a letto con te, hai ragione... quindi per te la partita è vinta... a meno che tu... non ti bruci...

Brucio?

Si...

Mi brucio, vuoi dire che rovino il momento?

Si...

E come potrei farlo?

Non lo so, può essere ogni cosa... da uno stupido commento, fino a un paio di mutande sbagliate... anche se... non so come ma guardandoti dai l'idea di portare le mutande giuste...

Sei difficile da soddisfare...

Si beh... sono famosa per essere intollerante..."

Juan Antonio e Cristina - Vicky Cristina Barcelona

Goodbye Kai Tak, and thank you

Ormai tutti i miei amici sanno del mio desiderio di andare ad Hong Kong, una delle città più affascinanti del mondo (e prima o poi riuscirò a convincere qualcuno a venire con me, possibilmente donna e fidanzata: guardare il panorama di sera dal Victoria Peak con un uomo non sarebbe la stessa cosa). Quando ci andrò però, non potrò atterrare al mitico aeroporto Kai Tak.

Il Kai Tak è stato l'aeroporto di Hong Kong dal 1925 al 1998, quando è stato chiuso e sostituito dal nuovo Chek Lap Kok. E non era un aeroporto qualunque. E' famoso in tutto il mondo per la particolare procedura di atterraggio, difficile e pericolosa ma allo stesso tempo spettacolare. Infatti, l'aeroporto disponeva di un'unica pista costruita su una lingua di terra in mezzo al mare, e il metodo di approccio richiedeva una manovra molto complessa a causa dei palazzi e delle montagne che rendevano impossibile un avvicinamento diretto e lineare. Nei primi anni l'aeroporto si trovava alla periferia della città, ma, a causa del rapidissimo espandersi della zona residenziale, lo scalo venne a trovarsi circondato da palazzi. Questo complicò ancor di più le manovre di atterraggio.

Vediamo dunque in dettaglio come si svolgeva un atterraggio sulla pista 13. Gli aerei iniziavano la discesa in direzione nord-est, passando prima sopra la baia, e poi a quota molto bassa sulla zona densamente popolata di Western Kowloon. Questa parte della discesa era guidata da un IGS (Instrument Guidance System, un ILS modificato) installato nel 1974.

Una volta raggiunta una piccola collina su cui era stata costruita una gigantesca scacchiera rossa e bianca, detta checkerboard (utilizzata come riferimento visuale per la fase finale), il pilota doveva effettuare completamente in manuale una rapida virata a destra di 47° per allinearsi con la pista, e completare dopo pochi secondi l'atterraggio. Al momento della virata, l'aereo si trovava a meno di 4km dalla pista, ad un'altezza di meno di 300m, con il carrello già fuori e ad una velocità molto bassa. Questa manovra divenne famosa tra gli addetti ai lavori come "Hong Kong Turn" o "Checkerboard Turn". Non so se i piloti ricevessero un addestramento specifico prima di essere mandati a Hong Kong, ma credo proprio di sì.

Un'ulteriore complicazione era costituita dai venti, in quanto anche quando erano di direzione costante il loro angolo relativo variava durante la virata. La situazione peggiorava durante i frequenti tifoni, e le montagne presenti a nord-est causavano grandi variazioni sia dell'intensità che della direzione. Nonostante tutte queste difficoltà, questo approccio era quello usato più spesso; l'atterraggio diretto e lineare dal mare, a causa degli sconfinamenti in territorio cinese e dei venti sfavorevoli, era il meno utilizzato.

Negli anni, il traffico aumentò sempre più fino a non essere più gestibile, e il Kai Tak arrivò a essere il terzo aeroporto più trafficato al mondo. Questo convinse le autorità a progettare un nuovo aeroporto (anch'esso costruito su un'isola artificiale). Alla mezzanotte e due minuti del 6 luglio 1998 decollò l'ultimo volo, il Cathay Pacific CX251 diretto a London Heathrow. Poco dopo venne tenuto un breve discorso celebrativo nella torre di controllo, e alla fine l'ultimo controllore di volo spense le luci della pista, dicendo: "Goodbye Kai Tak, and thank you". Dopo 73 anni, il Kai Tak non esisteva più.

Mi rendo conto che la sola descrizione potrebbe non rendere bene l'idea di quanto particolare fosse questo aeroporto; fortunatamente, si trovano in rete centinaia di video, e ne ho fatta una piccola selezione.

In questo video è possibile vedere un atterraggio "quasi" normale. Quasi perché la virata è molto più stretta del solito, e notate dopo quanto poco tempo l'aereo tocca la pista.


Ma cosa succede quando i venti laterali sono abbastanza forti? Atterraggi come questo... La virata è troppo lunga e il pilota deve riallineare all'ultimo. Ma non è sufficiente, e l'aereo tocca terra fuori linea.


Un altro esempio ancora più estremo; la qualità video è scarsa ma rende l'idea. Notate il "colpo di coda" finale, e ricordate che si tratta di un 747!


E i nostri piloti come se la cavavano? Giudicate voi da questo atterraggio un po' "ruvido" di un volo Alitalia:


Anche il Concorde ha fatto la sua apparizione al Kai Tak. In questo video l'atterraggio è abbastanza normale, ma è impressionante la velocità di discesa. Notate anche l'effetto condensa sulle ali.


Finora abbiamo sempre visto gli aerei dall'esterno. Ma com'era l'atterraggio vissuto a bordo? Questo video ci porta in cabina, oltretutto in un giorno piovoso dalla pessima visibilità. Notate al minuto 1.15 la vista della checkerboard, e immediatamente dopo la virata a destra.


Si è detto di quanto gli aerei passassero a bassa quota sopra i palazzi del quartiere di Kowloon, ma è difficile capirlo vedendo solo le riprese dalle colline. Questo video, ripreso dalla strada, fa capire un po' meglio com'era la situazione (alzate il volume!):


Insomma, adesso forse potete capire perché il Kai Tak sia rimasto nel cuore di tanti appassionati di aviazione...

Fonti: Wikipedia (ita,eng), kaitakairport.blogspot.com, Aliditalia, How Many Roads, Airboyd.tv.

Luoghi | Barcellona

Barcellona è una città meravigliosa. Punto. Una città viva, giorno e notte. Una città che non ha paura di osare, che non ha paura di cambiare, di rinnovarsi. Una città efficiente e moderna. E poi c'è il mare. Io non ho mai vissuto al mare, però l'idea che ci possa essere una posto con tutti i vantaggi di una metropoli, e anche il mare, la trovo irresistibile. L'idea di uscire dall'ufficio e andare in spiaggia, è un sogno.

Ci sono tornato a giugno, per la seconda volta. Ho fatto qualche foto, e spero di essere riuscito a coglierne, almeno in parte, lo spirito.

L'album è qui: http://donnifoto.zenfolio.com/barcellona

Animali da trasferta

Ultimamente faccio qualche trasferta di lavoro in più. Solita trafila: macchina, aeroporto, check-in, controlli di sicurezza, aereo, aeroporto, taxi, ufficio, lavori, saluti, taxi, albergo, cena. In tutti questi passaggi, riconosci subito quelli che sono abituati a viaggiare per lavoro, quelli che io chiamo "animali da trasferta".

Il primo avvistamento avviene in aeroporto. Si muovono decisi, sanno sempre dove andare e cosa fare. Quando sono in gruppo, anche peggio: si muovono baldanzosi come un branco affamato. Ovviamente sono membri di svariati programmi fedeltà così da avere più privilegi possibili (tipo check-in dedicato, imbarco dedicato, ecc.). Sbuffano ai controlli quando un poveraccio che vola una volta l'anno blocca tutti perché il metal detector continua a suonare.

Li riconosci da tante cose. Da come sono vestiti, per esempio: rigorosamente in completo scuro gli uomini, tailleur d'ordinanza per le donne (insieme a tacchi vertiginosi, pazienza se sono scomodi e dovranno portarli tutta la giornata). Dal portatile (o l'iPad per i più trendy), che ovviamente viene acceso per ingannare l'attesa, o per mandare quella mail urgentissima senza la quale il mondo si fermerebbe (tranquilli, ho scoperto che il mondo continua a girare lo stesso). Dallo smartphone che continua a squillare, con il quale vengono discusse ad alta voce strategie di business e impartiti ordini arroganti a segretarie incolpevoli, e che rimane incollato all'orecchio fino all'ultimo, fin quando l'aereo sta per decollare. Dopo, mi spiace, dovranno spegnerlo, e tagliare per un po' questo cordone ombelicale che li collega al mondo, e senza il quale non esistono.

Appena atterrati, sgusciano via di corsa verso la zona taxi. Ma non è un addio, è solo un arrivederci. Infatti la sera, se si è in qualche posto logisticamente un po' sfigato, ci si ritrova tutti allegramente al ristorante dell'hotel. Una fila di tavoli, molti occupati da una sola persona, quasi tutti uomini, a mangiare tristemente da soli, cercando di riempire i vuoti e la solitudine con l'onnipresente cellulare o una rivista. Arrivi e tutti ti guardano, con quello sguardo misto tra compassione e solidarietà, come dire "anche tu qui?". Il cameriere ti viene incontro e ti chiede "da solo?" e tu rispondi con un sì e la faccia da cane bastonato. Un giorno incontrerò una donna bellissima in ascensore e, dimenticando per un attimo la mia timidezza e con un po' di incoscienza, le dirò "Ciao, se sei sola, ti va se ceniamo insieme?". Inutile dire che finora non è mai successo.

Fino all'ultimo giorno, quando rifarai tutta la trafila al contrario e sarai felice di tornare a casa. Sempre che a casa ci sia qualcuno ad aspettarti.

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Questo post è liberamente ispirato dalle mie trasferte e dal film "Tra le nuvole" con George Clooney.

Tra i gigabyte degli uno e degli zero

"Eppure nella miriade di microonde, tra i messaggi infrarossi, tra i gigabyte degli uno e degli zero, troviamo parole della grandezza di un byte più infinitesime persino della scienza, celate nella vaga elettricità. Ma se soltanto ascoltassimo sentiremmo la solitaria voce di quel poeta che ci dice: è stato ieri che la follia di oggi ci ha preparato al silenzioso trionfo della disperazione di domani. Bevete, poiché non sapete da dove venite né perché, bevete poiché non sapete dove andate né perché."
L'esercito delle 12 scimmie